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Usufrutto e nuda proprietà: il fisco tassa ciò che la legge non voleva assoggettare a imposta (e così l’interpello fiscale diventa un boomerang giuridico)

Con la risposta a interpello n. 133/2025, l’Agenzia delle Entrate ha sollevato un intenso dibattito tra gli addetti ai lavori sostenendo che, nel caso di vendita immobiliare con intestazione dell’usufrutto a un soggetto e della nuda proprietà a un altro, sorga una plusvalenza tassabile in capo al venditore per la quota di prezzo riferibile all’usufrutto.
Una conclusione sorprendente, e francamente difficile da condividere, che rischia di colpire ingiustamente il venditore per scelte negoziali operate esclusivamente dagli acquirenti.

Il caso è tutt’altro che marginale: basti pensare alla diffusa prassi familiare in cui un genitore intende “partecipare” all’acquisto di un immobile da parte del figlio, riservandosi l’usufrutto.
Non a caso, il Consiglio Nazionale del Notariato, con una nota ufficiale del 21 maggio 2025, ha preso posizione contro questa lettura, definendola in sostanza priva di fondamento e contraria ai principi consolidati.

Una costruzione teorica che ignora la realtà giuridica

L’Agenzia motiva la propria posizione richiamando la norma introdotta dalla legge 213/2023, che qualifica come “reddito diverso” la concessione in usufrutto a titolo oneroso (art. 67, comma 1, lett. h, del TUIR). Tuttavia, piegare tale disposizione per applicarla a una cessione della piena proprietà scissa su iniziativa degli acquirenti non è solo forzato: è giuridicamente scorretto.

Ecco alcune delle evidenti incongruenze:

  1. Una norma utilizzata fuori contesto
    La disposizione fiscale mira chiaramente a tassare chi mantiene la nuda proprietà e separatamente cede l’usufrutto. Non ha nulla a che vedere con la cessione della piena proprietà da parte di un venditore che, nel medesimo atto, perde ogni diritto sul bene. Forzare l’analogia è un evidente abuso interpretativo.
  2. Il venditore non decide la struttura dell’acquisto
    È paradossale che l’imposizione fiscale ricada su un soggetto – il venditore – in virtù di una decisione contrattuale presa da altri – gli acquirenti. Un’impostazione che, se generalizzata, minerebbe i principi fondamentali di certezza e coerenza dell’imposizione.
  3. Una disparità che sfida la logica
    La stessa operazione – cessione della piena proprietà – sarebbe fiscalmente neutra se l’immobile venisse intestato in comunione tra due soggetti, ma genererebbe plusvalenza se intestato come usufrutto e nuda proprietà. Un’assurdità che la stessa logica civilistica e fiscale dovrebbe respingere.
  4. Un solo prezzo, un solo contratto, una sola cessione
    In questi casi non vi è alcuna pluralità di operazioni. Il venditore non cede prima l’usufrutto e poi la nuda proprietà: cede l’intero diritto, con un unico atto e un unico corrispettivo. Far derivare da ciò due presupposti impositivi è una forzatura che rischia di sfociare nell’arbitrio.

Un’osservazione sulla genesi dell’interpello

Non si può infine ignorare un aspetto più sottile ma altrettanto preoccupante: sempre più spesso, interpretazioni tanto discutibili prendono le mosse da interpelli mal formulati, promossi da professionisti che, forse per inesperienza o eccessiva prudenza, sollevano dubbi teorici su questioni che la prassi professionale – e il buon senso giuridico – hanno da tempo risolto. È lecito domandarsi se non sia il caso di usare maggiore responsabilità e discernimento nell’accesso a questo strumento, per evitare di alimentare incertezza normativa laddove non ce n’è alcun bisogno.

Conclusione: si tassano i soggetti sbagliati per motivi sbagliati

La posizione dell’Agenzia delle Entrate appare, ancora una volta, animata da un eccesso di zelo fiscale che ignora la sostanza delle operazioni e rischia di creare gravi distorsioni nella prassi.
Attribuire al venditore una plusvalenza generata da una modalità di intestazione voluta dagli acquirenti significa snaturare il principio di capacità contributiva e aprire la strada a una fiscalità sempre più imprevedibile.

È auspicabile che questa interpretazione venga rapidamente rivista o quantomeno circoscritta, evitando effetti distorsivi e ingiustificati su operazioni perfettamente legittime, frequenti e spesso finalizzate alla protezione patrimoniale in ambito familiare.